giovedì, Luglio 3, 2025

La ridicola proposta di dare la cittadinanza italiana a chi conosce santi e sagre

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Provate a immaginare la scena, perché se non la visualizziamo fatichiamo a coglierne l’assurdità quasi teatrale. A una ragazza o un ragazzo che sono nati in Italia, o qui sono arrivati da un altro paese entro i 12 anni insieme ai genitori, dopo un ciclo scolastico di cinque anni, potrebbe essere domandato in sede di rilascio della cittadinanza cosa sia la sagra del padellone di Camogli o quando si tenga il festino di Santa Rosalia. Il tutto con protagonisti bambini da dieci anni di età se non più piccoli, considerando le scuole materne. Non solo sagre e tradizioni popolari: dovranno padroneggiare con la massima competenza storia e tradizioni italiane dall’antichità a oggi, snocciolare le principali festività del paese, dimostrarsi competenti nella musica, nei costumi enogastronomici e nell’immancabile presepe. Praticamente una laurea in etnoantropologia della penisola italica.

Questo il quadro grottesco che uscirebbe se i 651 emendamenti presentati da Lega e Fratelli d’Italia in pieno sabotaggio fossero approvati e arrivassero dunque a modificare la già timidissima proposta di legge sull’ex ius soli trasformato nello ius scholae. Fra l’altro, per dare la cittadinanza a chi italiano lo è già da sempre, i leghisti vorrebbero pure vincolare il riconoscimento del diritto al merito scolastico (diploma con voto finale di almeno 90/100 o media del 9). 

Una classe fa lezione in periodo di Covid-19

Si tratta di una norma contenuta nel testo base per la riforma della cittadinanza, che consentirebbe ai minori figli di migranti di ottenere la cittadinanza italiana dopo aver frequentato almeno cinque anni di scuola

Lo schema è sempre lo stesso, certe cose non cambiano: diventi italiano non perché sei nato qui, sei cresciuto in questo paese e qui hai tutta la tua vita o un suo pezzo importante, o al massimo perché hai frequentato le scuole, ma semmai perché te lo meriti. Te lo devi guadagnare, quel diritto. Che in quanto tale, per i quasi 900mila ragazze e ragazzi che aspettano quel riconoscimento, non è più un diritto. La linea di ragionamento è la stessa che di tanto in tanto, fra i fasti del Quirinale o del Viminale, premia qualche cittadino extracomunitario con la cittadinanza quando si tuffa in mare e salva un bambino o magari sia una promessa dello sport: l’eroismo dei diritti, che invece dovrebbero essere quanto di più naturale e scontato da poter godere solo in base a requisiti che diano un inquadramento giuridico alle condizioni de facto.

La commissione Affari costituzionali, dove il via libera al testo base è già arrivato, valuterà oggi, 4 aprile, l’ammissibilità dei 728 emendamenti (compresi quelli delle altre forze politiche) al testo elaborato dal presidente della commissione e relatore, Giuseppe Brescia del M5S, che da sempre segue la questione. Se la gran parte di quelle provocazioni, perché di questo si tratta, sarà archiviata nell’armadio delle vergogne italiane, il disegno potrebbe arrivare in aula a maggio. 

Perfino Forza Italia, che pure ha votato a favore nel primo via libera sull’impianto generale, dimostra di viaggiare con la bussola impazzita. Sentite le parole di Annagrazia Calabria, vicepresidente della commissione: “Per noi la linea è quella di una riforma della cittadinanza che deve partire da un presupposto: essere italiani è motivo di orgoglio e di consapevolezza, e non può prescindere dalla cultura e dal valore che caratterizza noi italiani”. E precisa di aver “avanzato delle proposte di modifica che mirano a eliminare qualunque automatismo per l’acquisizione della cittadinanza: occorre dimostrare la frequenza regolare e la conclusione positiva di un intero ciclo di istruzione, di scuola elementare o media. Solo questo dimostrerebbe la necessaria adesione a un universo culturale e valoriale. Va valorizzato questo criterio qualitativo e non un requisito puramente quantitativo”.

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