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Le parole pronunciate da Tom Hanks, durante il tour promozionale di Elvis, hanno riacceso un dibattito che è sicuramente tra i più divisivi e attuali: quello connesso al rapporto tra la comunità non etero e la sua rappresentazione, o meglio ancora la sua interpretazione. La questione della rappresentazione del mondo Lgbtqia+ al cinema è tutt’altro che superficiale o risolta, quanto connessa ad un momento di cambiamenti assoluto nella narrazione contemporanea. E se si vuole approfondire tale dinamica, bisogna sin da subito essere coscienti del fatto che per decenni essere non etero, di base ha voluto dire avere la carriera distrutta.
Guardando al passato con occhi diversi
“Parliamo di questo: potrebbe un eterosessuale fare ora quello che io ho fatto in Philadephia? No, e sarebbe giusto così. Il messaggio che il film cercava di restituire era: non abbiate paura. Una delle ragioni per cui la gente non era spaventata dal film era il fatto che fossi io a interpretare un gay. Ormai abbiamo superato quella fase e non credo che la gente accetterebbe l’inautenticità di un attore eterosessuale nei panni di un omosessuale. Non è un delitto, non è da biasimare chi sostiene che nei film contemporanei si debba essere più esigenti in termini di autenticità.”. Parole più precise e chiare Tom Hanks non poteva sceglierle, del resto da molto tempo l’industria cinematografica, quella americana in particolare, ha messo all’ordine del giorno l’inclusività.
Un’inclusività intesa sia come elemento insito nella narrativa cinematografica, sia soprattutto come decisione di dare maggiori possibilità ad attori ed attrici non etero. Essere membro della comunità Lgbtqia+ era qualcosa che fino a pochi anni fa era di base una condanna a morte per ogni carriera attoriale. Forse ora la situazione è cambiata? Si, ma secondo molti meno di quanto si pensi, di quanto sia necessario. Ma di certo in Philadelphia Tom Hanks dette un grande contributo a suo tempo in tal senso. In quel 1993 l’attore aveva commosso il mondo nei panni di un avvocato omosessuale e malato terminale di AIDS, che riusciva grazie alla propria tenacia e coraggio, e all’aiuto di un ex rivale del foro, ad avere ragione dei suoi ex datori di lavoro, omofobici, intolleranti e bigotti.
Ancora oggi quel film è indicato come un momento spartiacque, di base ha cambiato completamente la concezione dell’omosessualità nell’opinione pubblica, che fino a quel momento accettava la ghettizzazione senza particolari remore. Oggi però si cerca di capire quanto il concetto di interpretazione per chi fa il mestiere dell’attore, per chi è un portatore di maschere e d’identità, debba essere slegato dalla necessità di rendere reale e completo l’iter inclusivo che si vuole perseguire nella nostra società. Perché a lungo, dietro la maschera, innumerevoli protagonisti del grande schermo non hanno mai potuto vivere apertamente la propria vita e la propria sessualità.
Una comunità a lungo ghettizzata a Hollywood
Senza ombra di dubbio l’esempio più eloquente è quello di Rock Hudson. Volto cinematografico maschile simbolo degli anni ‘50 e ’60, un colosso dotato di fascino, sex appeal e talento, Hudson in breve diventò uno dei volti più desiderati dal mondo femminile di sempre. La sua omosessualità era nota all’interno della ristretta cerchia di Hollywood ma non presso il grande pubblico, elemento che lo costrinse, per evitare di essere letteralmente epurato, anche ad un matrimonio di copertura con la sua segretaria, Phyllis Gates. Fino al 1984, quando nella trasmissione dell’amica Doris Day mostrò di essere malato di AIDS, mantenne il silenzio più totale circa la sua omosessualità.
Rupert Everett è un caso tipico del prezzo che si pagava fino a pochi anni fa, nel caso di un coraggioso coming out. A partire dagli anni ’80 diventò un’icona maschile osannata da tutti.
Sensuale, atletico, espressivo, era anche richiestissimo dal mondo della moda, almeno fino al suo coming out. In questi anni ha sempre ripetuto che tale presa di posizione, lo rese un paria all’interno dell’ambiente di Hollywood, stroncandone la carriera Oltreoceano, che per forza di cose da quel momento fu prettamente Europea. Altri nomi illustri da includere tra chi in passato dovette mentire circa la propria sessualità per tutta la vita, pagando un prezzo salatissimo, sono stati quelli di Greta Garbo, Montgomery Clift o Tab Hunter. Solo negli ultimi decenni fare coming out, è diventato gradualmente meno rischioso.
Eppure un’icona cinematografica unica come Jodie Foster ha dovuto aspettare il 2013 con la sua premiazione ai Golden Globe, per poter rivendicare la propria identità e Kristen Stewart, da sempre letteralmente assediata dai media, ha apertamente dichiarato al propria bisessualità solo nel 2017. Per anni le era stato detto di nascondere questa cosa, per non averne la carriera rovinata, perché doveva rimanere un oggetto del desiderio del pubblico maschile.
Anche per questo vi è una parte della Comunità LBGTQIA+ che chiede insistentemente che perlomeno i ruoli che si rifanno alla loro comunità, vengono lasciati ad artisti facenti parte della stessa.
Un futuro difficile e complesso
Ma davvero è necessario? Davvero è inopportuno far interpretare personaggi gay ad un etero come sostiene Tom Hanks? Matt Boomer, Cynthia Nixon, Ronen Rubinstein, Neil Patrick Harris o Samira Wiley, hanno fatto coming out, sono molto popolari e continuano a lavorare in modo proficuo….ma fino ad un certo livello. Con l’eccezione di Luke Evans, Ben Wishaw, la già citata Stewart e pochi altri, si è fatto notare che molto spesso attori ed attrici della comunità Lgbtqia+, i ruoli più importanti nelle produzioni più altisonanti li vedono andare ad artisti etero. Certo, sovente si fa il loro nome, ma poi “casualmente” non li si sceglie mai. Verità o teoria del complotto?
Quello che è certo che gli ultimi anni hanno messo in discussione molti dei pilastri di ciò che ritenevamo fosse essere il mestiere dell’attore. Alle parole di Tom Hanks aveva risposto tempo fa un simbolo del mondo gay come il grande Ian McKellen, mettendo in guardia sul pericolo di una sterilizzazione artistica insita in questa richiesta di autenticità a 360°. “L’argomento secondo cui un uomo etero non può interpretare un ruolo gay è insensato, significa che io non posso recitare in parti etero e non mi è permesso esplorare l’affascinante argomento dell’eterosessualità nel Macbeth? Sicuramente no. Stiamo recitando. Stiamo fingendo dopotutto”.
Gli ha fatto eco Simon Callow, popolarissimo attore e regista britannico, orgogliosamente gay: “Sebbene sia gay, questo non mi qualifica per interpretare tutti i diversi tipi di persone gay che ci sono. È un’idea molto semplice e pericolosa che puoi interpretare solo qualcuno che sei veramente. Fingere, giocare, in fondo il mestiere dell’attore è questo, ma bisogna anche comprendere che al momento viviamo in un’epoca in cui si cerca di trovare un equilibrio tra le diverse rivendicazioni. Forse la realtà è che nessuno ha completamente torto e completamente ragione, e che solo il tempo e la buona volontà ci permetteranno di raggiungere quei compromessi atti a cambiare le cose. E non sarà un processo semplice e neppure veloce.