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Ricordiamo tutti l’esultanza dell’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio nel 2018, quando all’approvazione del reddito di cittadinanza pronunciò la fatidica frase: “Abbiamo abolito la povertà”. Quattro anni dopo, Di Maio è ministro degli Esteri e non è neanche più nel Movimento 5 Stelle che tanto aveva spinto per introdurre il sussidio e che ancora oggi ne difende l’efficacia, e la lotta alla povertà pare appena cominciata. Il reddito di cittadinanza è ancora in vigore, e nei rispettivi programmi elettorali tutti i partiti ne parlano. Chi di rafforzarlo, chi di cambiarlo, chi di sostituirlo. È però solo una delle misure su cui un futuro governo dovrà intervenire nella lotta alla povertà. Vediamo cos’altro c’è.
- Centrodestra
- Lega
- Partito democratico
- Italia Viva e Azione
- Movimento 5 Stelle
- Verdi e Sinistra Italiana
- Più Europa
- Possibile
- Unione Popolare
- Italexit
- Forza Italia
- Fratelli D’Italia
Centrodestra
Il programma congiunto della coalizione del centrodestra non dedica al tema una sezione specifica, ma ci sono alcune proposte che vanno a contrastare la povertà. Nel quinto capitolo, dedicato al sostegno alla famiglia e alla natalità, si parla di “aumento dell’assegno unico e universale”, ovvero il sostegno economico per le famiglie con figli a carico che viene attribuito a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al ventunesimo anno di età. Non viene detto di quanto. Nella stessa sezione si parla di agevolazioni per l’accesso al mutuo per l’acquisto della prima casa per le giovani coppie, per salvaguardare le prospettive economiche delle famiglie. Nel nono capitolo, dedicato allo stato sociale e sostegno ai bisognosi. Inoltre è prevista una “sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”, che però non vengono meglio chiarite. Si parla anche di un innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità, ma non è chiaro di quanto e come si intenda finanziarle. Si menzionano, infine, “maggiori tutele in favore dei lavoratori fragili, immunodepressi e con disabilità grave”, che anche in questo caso non vengono approfondite.
Anche il partito guidato da Matteo Salvini – che è poi quello che finora ha presentato il programma più lungo e articolato – non dedica esplicitamente una sezione alla lotta alla povertà. Il tema è tuttavia intrinseco in diverse delle proposte. Nella sezione dedicata alla casa, si propone di “avviare una revisione della tassa sulla proprietà degli immobili al fine di abbassarne progressivamente il carico”. Nel capitolo dedicato a famiglia e natalità, si parla di diverse agevolazioni pensate per facilitare la creazione di nuclei famigliari. Tra questi, un potenziamento del supporto alla maternità tramite “prestiti agevolati per l’autonomia di famiglie sotto la soglia di povertà”. Abbassare le tasse e offrire incentivi e agevolazioni è ovviamente un buon modo per combattere la povertà, ma non è chiaro come il Carroccio intenda rientrare nei costi. Nella sezione dedicata alle politiche sociali e all’inclusione – presentata con la frase “il lavoro è la vera arma contro la povertà” – si parla di una riforma del reddito di cittadinanza che dia “maggior peso al quoziente familiare, rimodulando gli importi in funzione delle differenti soglie di povertà assoluta”.
Partito democratico
Più esplicito il tema nel programma del Pd, che lo inserisce nel secondo pilastro della propria visione del paese, denominata “lavoro, conoscenza e giustizia sociale”. Si parla di lavoro sommerso, di lavoro discontinuo e di lavoro nero, tutte forme di lavoro che vanno a creare una disuguaglianza economica “radicata, diffusa e inaccettabile. È poi trattata la tematica della povertà tra i bambini, in maniera piuttosto diretta: “Non possiamo accettare 3,6 milioni di bambini e ragazzi in povertà su un totale di 9,2 milioni di minori. È povertà materiale ed è esclusione da diritti e opportunità che mina anche ogni futura crescita”. La fonte di questo dato non viene citata, ma è probabile si riferisca alla povertà relativa e non alla povertà assoluta, che si assesta su 1,7 milioni. Un dato comunque altissimo.
Tra le proposte, ci sono un salario minimo contrattuale legale di 9 euro lordi orari nei settori a più alta incidenza di povertà relativa, il completamento del reddito di cittadinanza con un nuovo meccanismo di integrazione pubblica alla retribuzione in favore dei lavoratori e delle lavoratrici a basso reddito, la creazione di 500mila alloggi popolari nei prossimi dieci anni tramite interventi di rigenerazione urbana. Si parla poi di miglioramento dell’assegno unico e universale – anche qui senza che la tale miglioramento sia meglio descritto – e di strumenti di sostegno che aiutino a combattere la povertà alimentare, specialmente tra i più piccoli. Tra questi, mense gratuite, filiere alimentari più efficienti e redistribuzione dei prodotti a rischio spreco. Una grossa sezione è infine dedicata alla parità salariale tra uomini e donne, che è diventata legge nel 2021 – un successo che il Pd rivendica esplicitamente – ma su cui bisogna fare ancora di più. Nel complesso, ci sono anche qui elementi che vanno sicuramente chiariti, ma si tratta di un programma che comporta un livello di spesa che non appare proibitivo. Pertanto, un programma che almeno sulla carte appare fiscalmente più sostenibili di tanti altri.
Italia Viva e Azione
Un po’ più scarno lo spazio che trova il tema invece nel programma congiunto dei partiti guidati rispettivamente da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Anche qui non c’è una sezione dedicata, ma proposte singole in sezioni diverse che vanno a toccare il tema più o meno direttamente. Nella sezione dedicata al lavoro, si parla di un salario minimo, a cui non venga data un valore monetario specifico ma che garantisca “a tutti i lavoratori una retribuzione dignitosa deve passare attraverso una serie di azioni condivise con le parti sociali”. Si propone successivamente di riformare il reddito di cittadinanza, che secondo il programma “si è dimostrato non sufficientemente incisivo nella lotta contro la povertà”, dato che – secondo fonti che il programma non va a citare – il 56 per cento delle famiglie in condizione di povertà assoluta non lo riceve, mentre il 36 per cento dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta. Si propone quindi di togliere il sussidio dopo il primo di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione. L’idea è di incentivare un’occupazione economicamente stabile esclusivamente a chi ne ha bisogno. Più avanti nel testo, nella sezione dedicata all’agricoltura, si parla poi di aiuti alimentari, ma in termini piuttosto vaghi. L’idea è di “potenziare e stabilizzare le risorse del fondo aiuti alimentari nato per sostenere i comparti agricoli in crisi e le attività del terzo settore impegnate sul fronte della povertà alimentare”. Non vengono forniti ulteriori dettagli.
Movimento 5 Stelle
Il tema non è toccato esplicitamente nel programmo del movimento guidato da Giuseppe Conte, ma è intrinseco in diverse delle misure che vengono proposte. Si parla di un salario minimo di nove euro lordi l’ora “per dire stop alle paghe da fame e dare dignità ai lavoratori che oggi percepiscono di meno” e di abolizione di stage e tirocini gratuiti, definiti “strumento di sfruttamento della manodopera”. Si parla del rafforzamento del reddito di cittadinanza – fin dagli inizi un caposaldo del movimento, che l’ha introdotto nel 2019 come una misura per “abolire la povertà” – per rendere il sistema “più efficiente”. Si parla di una cessione di crediti fiscali strutturale che metta a disposizione delle famiglie “ingente liquidità” e dia accesso a diverse agevolazioni. Viene infine dato spazio alla parità salariale tra uomini e donne; il movimento pone come obiettivo “per fare in modo che di fronte alle stesse qualifiche e alle stesse mansioni le donne abbiano una retribuzione reale non inferiore a quella degli uomini”. Si vuole quindi intervenire per ovviare alla relativa povertà delle donne rispetto agli uomini. Nessuna di queste proposte viene però approfondita, né rispetto al modo in cui verrà implementata né rispetto a eventuali costi e finanziamenti per coprirli.
Verdi e Sinistra Italiana
Più spazio è dato al tema dal programma congiunto dei movimenti guidati rispettivamente da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. La povertà è citata diverse volte in diversi punti. In primo luogo, il divario salariale e lavorativo che ancora vige tra uomini e donne. A tale proposito si parla di “adozione di un piano straordinario per l’occupazione femminile e politiche e misure efficaci per le imprese femminili”, interventi contro “la disparità economica” tra uomini e donne e un congedo di maternitò obbligatorio retribuito al 100% per almeno due mesi prima la data del parto, più sei dopo. Nel capitolo 8, dedicato al lavoro, si parla di salario minimo di 10 euro lordi al mese, definito “il prezzo della dignità” e di una lotta alla precarietà condotta tramite l’incentivazione di contratti a tempo indeterminato offrendo agevolazioni. Si parla poi di pensioni minime di 1000 euro, senza spiegare come si intende arrivarci. Più avanti, nel capitolo 9, intitolato L’Italia giusta, si parla di un’imposta patrimoniale unica e progressiva che gravi sull’insieme di tutti i beni mobili e immobili, che aumenti la redistribuzione in favore dei più poveri. Nello stesso capitolo, si parla di un innalzamento a 12mila euro della quota del reddito esente da imposte. Anche in questo caso, mancano dettagli sulle coperture di queste misure.
Più Europa
Il tema non viene praticamente mai citato esplicitamente nel programma dello schieramento guidato da Emma Bonino. Si parla di povertà solamente in relazione al fenomeno dell’immigrazione, quando si propone di operare “una più ampia e rafforzata cooperazione con i paesi del Mediterraneo” al fine di trovare un quadro condiviso di aiuto e cooperazione stanziando entro il 2030 lo 0,70% del reddito nazionale lordo a favore dei paternariati per lo sviluppo e l’eradicazione della povertà. Ci sono poi diverse altre misure che vanno a toccare il tema più o meno direttamente, ma raramente con precisione. Si parla di una riforma del reddito di cittadinanza “nella direzione indicata dal governo Draghi”, senza che venga chiarito cosa questo significhi. Si parla di salario minimo mobile, “definito in accordo tra le parti sociali e sulla base dei settori produttivi”. C’è menzione di una riforma fiscale che incentivi il lavoro femminile. Quindi, non molte idee concrete ed esplicite sul tema.
Possibile
Lo schieramento di Giuseppe Civati fa del tema uno dei suoi cavalli di battaglia insieme alla crisi climatica, la discriminazione, le disuguaglianze e l’ingiustizia. A tale scopo, sono diverse le proposte messe in campo. In primo luogo, nel capitolo dedicato alla dignità al lavoro, si parla di salario minimo, che Possibile definisce “una materia da maneggiare con cura” dati i potenziali effetti avversi di un’implementazione poco attenta, chiedendo – con tono anche un po’ polemico – “possiamo parlare di salario minimo legale senza buttare la proposta nella discarica delle promesse elettorali?”. La visione del salario minimo di Possibile non ha infatti a che vedere con la cifra che andrebbe a fissare – che è poi individuata a 8,5 euro l’ora – ma è più un fatto di percezione. Secondo quanto si legge del testo, “se lavoratori e lavoratrici sapessero di essere pagati meno del minimo legale, allora sarebbe più evidente la loro condizione di sfruttamento”. Il solo fatto di avere un salario minimo, indipendentemente dalla cifra su cui si va ad assestare, sarebbe un deterrente efficace contro il lavoro nero. Si parla poi di una riduzione del cuneo fiscale per tre anni e “con criterio inversamente proporzionale al reddito”, in modo da andare a favorire le retribuzioni più basse a discapito di quelle più alte.