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Infine, il rumore. Spesso ipovedenti e non udenti non si accorgono dell’arrivo dei monopattini. “Così, i nostri produrranno una sorta di rumore bianco modulabile che permetterà di accorgersi quando un veicolo sta transitando nei paraggi. Il sistema si attiva automaticamente nelle aree pedonali e in quelle di maggior passaggio: è già stato sperimentato a livello europeo con buoni risultati: in Italia, lo abbiamo provato a Bologna”, spiega il responsabile. Secondo Re, l’introduzione di misure di sicurezza ha ridotto il tasso di incidenti. “I dati di quest’anno non sono ancora disponibili, ma nel 2021 abbiamo registrato il 400% di corse in più rispetto all’anno precedente con una diminuzione degli incidenti del 13%”. Merito anche, prosegue il manager, di una campagna di educazione.
Inciviltà e incuria
Uno dei problemi della prima generazione di monopattini in sharing era l’inadeguatezza all’uso pubblico: le compagnie mandavano in strada gli stessi mezzi destinati al consumo privato, con l’unica aggiunta di un gps per localizzarli. Una scelta che si è dimostrata inadeguata: quasi assenti le dotazioni di sicurezza, troppo rapido il deterioramento di parti meccaniche e batterie. “Nel nostro caso, produciamo da soli i nostri mezzi. Così, anche l’integrazione di nuove caratteristiche è più veloce”, dice Re.
Per il recupero e la manutenzione dei monopattini, Bolt, però, si affida a partner esterni. Non sono molte le imprese del settore. Ne esiste qualcuna anche in Italia. Come Esco Mobility, una startup palermitana specializzata nel recupero in situazioni impossibili. Mare, fiumi, fontane, cassonetti: non ci sono limiti all’inciviltà degli utenti, tanto che sul canale Instagram l’azienda pubblica i video più divertenti del vero e proprio bestiario cui gli operatori assistono durante i turni. Per ridere, ma anche per riflettere.
Magazzini sostenibili e diritti
Modello diverso per Dott, multinazionale olandese con quarantamila monopattini dislocati in Europa. Presente da due anni a Milano, ha aperto da poco in città un nuovo centro logistico da cui gestisce tutte le operazioni, il più grande del sud Europa. “Nessun partner esterno: facciamo tutto in-house, qui dentro”, racconta a Wired l’ad e fondatore Maxim Romain mentre mostra il magazzino. Le squadre di lavoro escono in strada a recuperare i mezzi, li controllano, li riparano in officina, li ricaricano e li rimettono in pista; quando sono inutilizzabili, li avviano a un percorso di smaltimento che comprende anche le batterie.