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Qual è il più grande segreto della storia dei Puffi? A quanto pare per scoprirlo dovremo andare al cinema a partire dal 6 aprile. È infatti in arrivo il terzo lungometraggio ibrido (creato con l’utilizzo di grafica computerizzata combinata ad azione dal vivo) ispirato alla storia delle piccole creature blu, I Puffi 3: viaggio nella foresta segreta.
Si tratta di un’avventura del tutto nuova che porterà Puffetta, Tontolone, Quattrocchi e Forzuto all’interno di un luogo popolato da creature magiche e alla ricerca di un misterioso villaggio, il tutto prima che arrivi il perfido Gargamella.
Tra i doppiatori della versione animata italiana ci sarà anche Cristina D’Avena, che ha dato voce al personaggio interpretato in originale da Julia Roberts. Ma la cantante è anche interprete di una canzone dal titolo Noi Puffi siam così che sentiremo nei titoli di coda. Il brano è un chiaro riferimento alla famosa sigla della serie animata degli anni Ottanta, ma di cose ne sono cambiate da quando i Puffi arrivarono in Italia.
Ecco allora 5 cose che forse non sapete.
1. Le origini
I Puffi nacquero nel 1958 dalla penna del fumettista belga Peyo (nome d’arte di Pierre Culliford). Apparvero per la prima volta come personaggi secondari della serie John e Solfami (titolo originale John et Pirlouit), ambientata in un fiabesco medioevo e pubblicata sulla rivista Le Jurnal de Spirou.
Dato il successo che riscossero queste piccole creature, dal 25 luglio 1959 si decise di renderle protagoniste di una storia propria, realizzata in collaborazione con Yvan Delporte, fumettista e editore.
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Ma il termine puffo, in belga Schtroumpfs, nacque per caso durante una cena con alcuni amici quando Peyo preso da momentanea amnesia invece di chiedere la saliera chiese a amico di passargli il puffo: “Passami il… puffo“. L’amico rispose: “tieni il puffo, quando avrai finito di puffare ripuffalo al suo posto“. Questo dialogo, riportato sul sito del fumettista belga André Franquin, fu l’inizio dei Puffi e del loro linguaggio.
In Italia arrivarono per la prima volta nel 1963 all’interno della rivista Tipitì, con il nome di Strunfi, che venne presto modificato perché considerato cacofonico e troppo assonante a una parolaccia d’uso comune. L’anno successivo Il Corriere dei piccoli decise di iniziare a pubblicare le storie dando ai protagonisti il nome di Puffi. L’origine del termine Puffo deriva dalla parola buffo.
2. La lingua e i personaggi
Particolarità della serie a fumetti prima e animata poi, era quella di utilizzare il termine puffo all’interno di frasi comuni, utilizzandolo per creare neologismi a seconda del contesto d’utilizzo. A volte viene utilizzato come verbo (per esempio puffare) altre volte come aggettivo (puffoso).
Quasi ogni Puffo prende il nome da un particolare che lo caratterizza o dal ruolo che ricopre nel villaggio. Grande Puffo è infatti il capo, e l’unico davvero adulto, ci sono poi Puffo Quattrocchi, Puffo Inventore, Baby Puffo e così via, fino a arrivare a Puffetta.
Puffetta – che inizialmente era mora – è stata creata da Gargamella, il grande antagonista dei Puffi che dà loro la caccia, per portare scompiglio nel villaggio. Con il passaggio dalla parte del male a quella del bene è cambiato anche il colore dei suoi capelli. La creazione di Puffetta però portò con se anche parecchie polemiche, a quanto pare infatti, Peyo ha fatto della piccola Puffa l’incarnazione del pensiero maschilista. Unica donna in un villaggio di uomini, era l’incarnazione dell’oca giuliva, creata per creare problemi all’intorno dei Puffi ai quali spezzerà sempre il cuore.
3. La serie animata
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La prima serie televisiva risale al 1959, creata dallo stesso Peyo in collaborazione con lo studio Tva Dupuis. La tecnica d’animazione consisteva nel muovere le figure di carta dei Puffi su dei fondali disegnati. La serie fu trasmessa in Italia all’interno del programma televisivo di Rai Gli eroi di cartone, condotto da Lucio Dalla dal 1970 al 1971.
Ma la serie animata a cui sono più legate le generazioni di oggi è quella andata in onda per la prima volta in America e in Italia (inizialmente su reti locali) dal 1981, per poi continuare fino al 1990.
Quando verso la fine degli anni Settanta il merchandise legato ai Puffi era all’apice del successo, alla figlia di Fred Silverman (produttore della Nbc) venne regalata una bambola di Puffetta; fu così che al padre venne l’idea per un cartone animato, che sarebbe stato perfetto per il palinsesto della domenica mattina. La trasmissione, realizzata dalla casa di produzione Hanna-Barbera, divenne uno dei più grandi successi dell’emittente.
In Italia, a contribuire al successo della serie animata, che approdò presto anche su Canale5 e Italia1, dove le repliche andarono in onda per molti anni, fu senza dubbio la musica.
I primi episodi della serie, furono trasmessi da delle reti locali a partire dal 1981 e il loro arrivo in tv fu accompagnato dall’uscita del 45 giri contenente la sigla del cartone, seguito poi da un 33 giri dal titolo Arrivano i Puffi. Quando la serie fu acquistata da Fininvest, e trasmessa su Canale5, si decise di realizzare delle nuove sigle, tutte tardate Five Recors (casa discografica fondata nel 1981 da Silvio Berlusconi) e di farle cantare da Cristina D’Avena. Furono le più cantate di quegli anni.
Ma i Puffi sono noti anche per il frequente utilizzo della musica classica come sottofondo delle avventure delle piccole creature.
4. Le polemiche e il finale della serie animata
Insieme al grande successo arrivarono anche le prime aspre polemiche. Oltre alle accuse di maschilismo già citate, alcuni critici affermarono che il cappello bianco dei Puffi ricordasse troppo il cappuccio del Ku Klux Klan. A sostegno di questa tesi ci sarebbe anche il fatto che Grande Puffo è l’unico a vestire di rosso, proprio come di rosso è a vestire anche il leader del Kkk. Secondo i creatori invece, il cappello dei Puffi si rifà al berretto frigio indossato dagli schivi liberati dell’antica Roma e diventato poi universale simbolo di libertà durante la Rivoluzione francese.
Altri affermano che il colore blu sarebbe invece un chiaro riferimento alla Massoneria, mentre il rosso del grande Puffo, così come la struttura del villaggio, sarebbero un riferimento al modello comunista descritto da Carl Marx ne Il Capitale. Tutte voci mai confermate.
Per quanto riguarda il finale, invece, qualche anno fa era stata divulgata la notizia secondo cui nell’ultima puntata della serie animata, mai andata in onda, si sarebbe mostrato che i Puffi altro non erano che frutto di un sogno di Gargamella, e quindi non esisterebbero nella realtà. Poco tempo dopo la teoria fu però bollata come bufala,
5. I lungometraggi
Il primo lungometraggio, del 1976, creato e diretto da Peyo stesso, era ambientato nel medioevo e vedeva come protagonisti John & Solfami oltre che i Puffi. Tratto da la storia a fumetti omonima, Il flauto a sei Puffi, può vantare la colonna sonora del premio Oscar Michel Legrand.
Un altro lungometraggio venne realizzato poi nel 1984 per la regia di Joseph Barbera e William Hanna, già produttori della serie televisiva, dal titolo Le nuove avventure dei Puffi, e in quegli anni segnò l’importante passaggio dalla televisione al grande schermo delle avventure dei piccoli protagonisti che erano al massimo della loro notorietà.
Dopo 21 anni lontano dal grande e il piccolo schermo i Puffi tornarono al cinema nel 2011 con una veste rinnovata e contemporanea, e affiancati da attori in carne e ossa. Come già detto il 6 aprile è in arrivo un nuovo capitolo: I Puffi – Viaggio nella foresta segreta, che a differenza dei film del 2011 (I Puffi) e del 2013 (I Puffi 2) è interamente animato e si rifà direttamente a una delle classiche storie di Peyo.
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